giovedì 31 luglio 2008

Gli 'Anta della mia dolce metà

Ciao a tutti, sono tornata da qualche giorno e tra pochissimo riparto...
Martedì abbiamo festeggiato i quarant'anni del mio fidanzato e ho avuto una due giorni di fuoco.
Ho fatto la spesa lunedì mattina (meglio nota come "la desolazione dei supermercati"), cacciato quattro borsoni sul motorino e sfidato la morte per tornare a casa...
L'idea era di dedicarmi il lunedì alle cotture lunghe o in forno, di modo da non scaldare troppo la casa per il giorno seguente (eravamo in quattordici!).
Ne ho combinate di tutti i colori: dimenticato la mousse in freezer (è uscita con un dito di brina!), sfanculato gli elettricisti che, senza preavviso, sono venuti a cambiare il contatore e mi hanno staccato l'elettricità nel bel mezzo della cottura dei cantucci, grrr!, aperto un Picolit Livio Felluga dell'85 per cucinare il pollo (convinta che non fosse più buono)...era un vino da oscar! Insomma, meglio che non mi dilunghi...è stata un bellissima serata.
Ecco il menù:

Aperitivo: Cantuccini salati con pistacchi, capperi e olive (nelle ciotoline a sinistra e a destra):



Antipasto: Gelatina di pomodoro con brunoise di sedano e olive taggiasche



Primo: Paccheri di Gragnano con pesto di peperoni

Secondo: Pollo alla Stefani

Dolce: Mousse di yogurt alla vaniglia e marsala con gelatina di ribes rosso



Aggiungo anche i panini all'olio con sesamo bianco e nero, finocchietto e semi di papavero (fatto con l'impasto delle treccine all'olio)

sabato 19 luglio 2008

Treccine all'olio


Lo so, lo so che non mi sopportate più! Pane, pane e sempre pane! Però vi prometto che per qualche giorno poi vi lascerò stare. Domani parto e sto via una settimanina...
Così ho pensato di lasciarvi queste belle pagnottine in eredità...giusto per non farvi sentire la malinconia...
Sono deliziose! Direi uno dei miei migliori esperimenti.
Per la forma (e la foto sottostante, tratta da un sacco di farina), devo ringraziare Maurina del forum della Cucina italina, che è stata così gentile da insegnarmela (o, meglio, di riportarmela alla mente, perchè era uno di quei garbugli che facevo sempre da bambina). E' un modo molto carino di intrecciare il pane: semplice veloce e di gran resa.
Ci risentiamo tra una settimana!


Treccine all'olio

350g manitoba
150g farina 00
50g semola
190g LM + la punta di un cucchiaino di lievito di birra secco
60g olio + quello per spennellare
10g sale
270g circa di acqua

Sciogliere i lieviti in 100g di acqua, aggiungere le farine setacciate, l'olio, la semola, la restante acqua e il sale. Impastare bene, battere e mettere a riposo per 3-4 ore (o comunque fino al raddoppio) in una ciotola unta d'olio.
Riprendere in mano l'impasto, dare le forme e far rilievitare per un'altra oretta, dopo averne spennellato la superficie con l'olio.

Rispennellare e infornare a 190-200 gradi per una ventina di minuti (ma dipende dalle pezzature).

giovedì 17 luglio 2008

Il pesto di peperoni

Linguine con pesto di peperoni

Questa è in assoluto una delle mie paste preferite. La mangio in tutti i modi: fredda, calda, con l'aggiunta di basilico, lasciando il pesto grossolano o frullandolo come una crema...insomma, mi piace da morì! Inoltre è facile, rapido...devo convincervi ancora?


Pesto di peperoni

per 2 persone
1 peperone giallo
30g di parmigiano
15g pinoli (meglio se tostati)
10g olio evo

Pulire il peperone e metterlo sotto al grill del forno, finchè la pelle non inizia a colorirsi e staccarsi.
Spellare dunque il peperone, frullarlo con il parmigiano, l'olio e i pinoli e condirci la pasta.
Terminare il piatto con un cucchiaio di pinoli tostati e una spolverata di parmigiano.

mercoledì 16 luglio 2008

Plumcake "siculo" con marsala e pistacchi


Questo è decisamente il miglior plumcake mai fatto. La ricetta è di Ernst Knam ed è tratta dal suo libro L'arte del dolce . Di lui vi ho già parlato, quindi è inutile che mi ripeta. Lascio invece la parola a questo ottimo cake, che ho voluto "sicilianizzare" usando pistacchi di Bronte e il marsala al posto del rum.
Tra parentesi trovate le mie modifiche.


Plumcake "siculo" con marsala e pistacchi

150g burro (140g)
250g zucchero (200g)
125g yogurt intero (135g)
350g farina 00
3 uova
50g latte
12g lievito in polvere
125g pistacchi spellati(50g)
12g rum (15g marsala)

burro e farina per lo stampo

In una ciotola montate bene il burro, lo zucchero e 25g di yogurt.
Unite un po' alla volta 300g di farina, le uova, il latte e lo yogurt rimanente e amalgamate con cura il tutto con un cucchiaio di legno.
A parte, unite in una ciotola la farina rimanente, il lievito in polvere, i pistacchi interi e il rum; quindi aggiungeteli all'impasto e mescolate bene con un cucchiaio di legno.
Versate il composto in uno stampo da plumcake, imburrato e infarinato, delle dimensioni di circa 25 x 8 cm. Cuocete nel forno preriscaldato a 170 gradi per 30-35 minuti (ma io ci ho messo quasi il doppio). Lasciate raffreddare, poi togliete il plumcake dallo stampo e servite.

N.B.: I pistacchi vengono mescolati alla farina prima di essere aggiunti all'impasto perchè non "precipitino" sul fondo dello stampo durante la cottura del dolce e restino inveve "sospesi" nell'impasto.

martedì 15 luglio 2008

Tanto rumore per... poco!

Ebbene sì, dopo tanto desiderare, in occasione della conclusione degli esami sono finalmente riuscita ad andare a cena da Nicola Cavallaro Al San Cristoforo. Peccato che le cose non siano andate esattamente come mi aspettavo.
Ma partiamo dal principio…

L’ambiente è carino, pulito, con le pareti verdi movimentate da maxi fotografie dal soggetto esotico, l’illuminazione azzeccata (la musica -che spazia dal latino alla pop- un po’ meno), i tavoli ben distanziati.
La tavola è guarnita da un originale centrotavola composto da un bicchiere con tre lunghissimi (e davvero deliziosi) grissini, una piccola pianta di plastica e un portalumino apparentemente dozzinale e comunque non di mio gusto.
Posate Sambonet e piatti, per lo più, di vetro lavorato (anche questi non di mio gusto, ma non per questo scadenti).
Ma veniamo alla sostanza.
Io prendo il menù Sessantotto (che sta per altrettanti euro), Francesco (il mio fidanzato) Cinquantotto e una bottiglia da una ventina di euro.
In attesa dei piatti (spesso, tra uno e l’altro, un po’ eccessiva, ma forse era colpa del “sabato sera”), ci viene servito un delizioso bocconcino di bufala, pomodorino e spuma di basilico e un ottimo cestino del pane.
Il personale di sala è molto gentile, sempre sorridente ed educato. Addirittura vediamo lo chef scorrazzare tra un tavolo e l’altro a prendere la comanda e a fare premurosamente a turno gli onori di casa.
Aspettiamo con ansia che venga anche da noi (io mi ero già preparata una miriade di domande da fargli, figuratevi! Con la fama che ha Cavallaro tra i bloggers!)… peccato che non sia mai arrivato.
Eccoci agli antipasti: per me un lungo piatto rettangolare con su, a destra, Sfoglia di gamberi rossi, mozzarella di bufala, mela verde e tartufo nero e, a sinistra, Tartare di ricciola con pesche, olive di Gaeta e coriandolo fresco e peperoncino (tra l’altro indicati nel menù come due piatti distinti).
Chiedo subito da dove fosse meglio iniziare per gustare al meglio l’esperienza (perché “esperienza” è il termine adatto per descrivere quello che mi aspettavo). Mi suggeriscono di partire col gambero e così faccio.
Il crostaceo in questione è decisamente di qualità superiore e l’accostamento con la mela e la bufala è, senza dubbio, felice. Peccato che il tutto fosse troppo salato e questo abbia un po’ guastato la delicatezza dei sapori. Il tartufo non mi sono nemmeno accorta di averlo mangiato (il tartufo a luglio?).
Anche la tartare era composta da ingredienti di primissima scelta e, anche qui, gli accostamenti (per altro non nuovi), erano davvero armoniosi.
Il mio fidanzato ha invece aperto la cena con una Creme brulée al Parmigiano Reggiano con prosciutto di Carpegna. Piacevole la creme brulèe dal sapore dolciastro, si abbinava bene alla sapidità del prosciutto (io ne ho assaggiato una mezza fetta, sarà la sfortuna, ma ne ho presa una parte un po’ secchina).
E’ poi arrivato il turno del piatto che aspettavo con più ansia, quello che prevede una particolare affumicatura a freddo, come ho letto con curiosità qui: Insalata di melone e anguria tonno appena scottato e foie gras.
Mi arriva il piatto composto da una pallina di melone, una di anguria, una di foie gras e qualche fettina di tonno scottato. Ma il fumo? Mah, forse devo aver confuso piatto –mi son detta-, eppure strano, ne ho riletta la descrizione proprio prima di uscire di casa…
Ma nessuno mi dice niente e io inizio ad assaporare: ottimo il tonno. Stava molto bene col melone, un po’ meno con l’anguria ed era decisamente infastidito da quel foie gras. Io non sono certo un’esperta, ma la sensazione era spiacevole: quel foie gras mi “grattava sul palato” da morire!
A prescindere dai gusti (io il foie gras lo adoro), quello mi creava proprio una situazione spiacevole in bocca.
Nell’attesa dei primi, sgranocchio con piacere i grissini e, dato che avevo già testato la ricetta data on line qualche anno fa, chiedo conferma sull’uso del lievito madre. Mi viene replicato che, dopo un consulto in cucina, avrei avuto risposta. Così non è avvenuto.
Ma veniamo ai primi: per me Senatore Cappelli con aglio, olio Pianogrillo e selezione di peperoncini dal gusto davvero ottimo. Mai mangiato una “aglio e olio” così buona. Davvero eccellente nei sapori (anche qui, prodotti di primissima scelta), anche se potevano essere più al dente.
Lo stesso vale per i Tuffoli ai 5 pomodori (confit, appassito, fresco a crudo, salsa e pomodoro verde) mangiati da Francesco nello stesso lungo piatto dei Ravioli di coda alla vaccinara con salsa ai ricci di mare e pomodoro. Di questi non ho avuto modo di apprezzare il contrasto dei sapori perché il gusto dei ricci si imponeva con prepotenza sul tutto.
Il mio secondo, Trancetto di ricciola, budino di mandorle, granita di nespole e spinacino, è un piatto decisamente interessante. Peccato che nel titolo venga omesso l’ingrediente in più che, a mio avviso, ha rovinato il delicato e piacevole gioco di ricciola-nespola-mandorla, ovvero la bottarga.
Sulla Tagliata di manzetta piemontese con patate fritte e salsa tzatzichi non mi esprimo perché non l’ho assaggiata. Ad ogni modo, da quanto riportatomi da Francesco, mi sembra di aver capito che la carne abbia ricevuto, come le patate (chips), un ottimo trattamento. Della salsa e dell’abbinamento tra i due, non so, ma mi sembrava che lui avesse qualche perplessità.
Aspettando i dolci, sento passare, diretto al tavolo dietro al mio, un piatto molto profumato…ma è il fumo dell’affumicatura a freddo! Mi volto subito incuriosita per capire di che portata si trattasse e scopro che era proprio quell’insalata di melone, anguria, tonno e foie gras che avevo mangiato io poco prima. Non faccio in tempo a rivoltarmi che (finalmente!) si presenta Cavallaro al nostro tavolo spiegandoci che, nel mio caso, c’era stato un disguido con la macchinetta affumicatrice e che si sarebbe fatto perdonare.
Io gli rispondo, in tono ironicamente minaccioso, che “era quello che mi auguravo” e gli racconto che leggevo del funzionamento della macchina infernale proprio quella sera, prima di andare da lui.
Arrivano così i dolci (a scelta dalla carta, ma compresi nella somma totale del menù).
Della mia Spuma di yogurt, sorbetto alla ciliegia, bavarese di banane e il cioccolato all’amarone di Giuseppe mi viene suggerito di seguire la sequenza spuma-bavarese-sorbetto (che, tra l’altro, non era di ciliegia, ma di albicocca).
Particolarmente buona la prima, non ho capito in cosa fosse legata alle altre due (a loro volta gradevoli).
Decisamente migliore la Tegola di zucchero e pistacchi, bavarese di ricotta, sorbetto all’albicocca e scaglie di cioccolato del mio fidanzato. Un buon contrasto di sapori, temperature e consistenza, con particolare lode per la tegola e la bavarese.
Non vogliamo caffè.
Chiediamo il conto: 152 euro (matematicamente come da “listino”).
Ma non si doveva far perdonare?


Nicola Cavallaro
Ristorante Al San Cristoforo
Via Lodovico Il Moro, 11
20143 Milano
tel. 02.89.12.60.60

domenica 13 luglio 2008

Conoscere il cioccolato


Oggi desidero parlarvi di un libro che mi ha molto entusiasmata. Si tratta di Conoscere il cioccolato, di Clara e Gigi Padovani, edito da Ponte alle Grazie (collana diretta da Allan Bay).
Ritengo, infatti, che la conoscenza che abbiamo del cioccolato sia ancora troppo superficiale e che questo bel libro, tecnico e storico nei contenuti, ma con uno stile davvero limpido e scorrevole, possa costituire un’ottima via per una migliore comprensione (e fruizione) del goloso cibo degli dei (da sottolineare anche un’ampia sezione dedicata ai migliori indirizzi nazionali ed internazionali per la degustazione delle etichette più pregiate).

Oggi consideriamo il cioccolato una prelibatezza da addentare lentamente o da centellinare con il cucchiaino, che dà brividi di piacere ai golosi e offre sensazioni complesse da scoprire. Ma questa immagine riguarda soltanto gli ultimi due secoli di una storia ben più antica, che affonda le radici nelle civiltà mesopotamiche del Golfo del Messico. Per queste popolazioni, quei semi scuri rappresentavano davvero qualcosa di importante: oltre a trasformarsi in liquido energetico e stimolante per le classi nobili, venivano usati come moneta corrente, tanto che gli Spagnoli, quando raggiunsero le Americhe, trovarono i palazzi dell’imperatore pieni di ceste di fave di cacao.
Soltanto l’aggiunta di zucchero, avvenuta nella prima metà del XVII secolo, rese gradevole la bevanda, fino a conquistare le corti e i monasteri di tutta Europa.
Nella prima metà dell’Ottocento, il cioccolato cambiò ancora volto quando, in Gran Bretagna, venne trasformato in una tavoletta solida e, qualche anno più tardi, in Svizzera, divenne un piacevole alimento al latte o fondente.
Anche la sua considerazione sociale e culturale si modifica radicalmente nel corso dei secoli. Gli Europei, infatti, prima lo disprezzano, poi lo interpretano come una medicina, quindi lo esaltano come uno dei simboli della raffinatezza dell’Ancien Régime. Nel XX secolo diventa un alimento “democratico” e soltanto all’inizio del Terzo Millennio si afferma come prelibata specialità da gourmet, grazie al ritrovato legame col territorio.
Ed è proprio la storia del cioccolato che questo libro ci racconta con dovizie di particolari. A partire dalla sua scoperta, sino ad elencarne le tappe fondamentali della sua storia più moderna, che, sintetizzando, potrebbero essere queste:
- 1828: l’olandese Conread J. Van Houten, riesce a spremere le fave per ottenere la polvere di cacao da sciogliere in acqua;
- 1849: il capitalista inglese Joseph Storrs Fry, terza generazione di medici e chimici industriali, prepara la prima tavoletta solida;
- 1875: il costruttore svizzero di candele Daniel Peter, con la figlia, inventa il cioccolato al latte grazie al latte in polvere realizzato dal suo vicino di casa, il farmacista tedesco Henry Nestlé;
- 1879: il tecnico-cioccolatiere svizzero Rudolph Lindt, che dimenticando accesa la sua macchina miscelatrice (e ritrovandosi così, una materia molto più cremosa e facile da modellare), apre la strada al fondente, come lo battezza egli stesso.
Così, dopo un piacevolissimo excursus storico, gli autori passano a delinearne le caratteristiche principali, i criteri grazie ai quali possiamo distinguere un cioccolato di qualità da uno della peggior specie (ad. es., la barretta di cioccolato non deve presentare tra i suoi ingredienti anche il cacao in polvere), la storia delle preparazioni più famose (Sacher, Barozzi, 900, ecc.), i suoi innumerevoli utilizzi, sia nel dolce che nel salato e così via.
Ma credo di avervi già detto abbastanza e, onde evitare di fare la figura della cioccolataia, preferisco lasciare la parola a Clara e Gigi Padovani.
A proposito, sapete da dove viene l’espressione “fare la figura del cioccolataio”, ovvero, “fare brutta figura”, “non essere all’altezza della situazione”?
L’origine è molto discussa, ma pare si debba far risalire ad un aneddoto - dall’accezione meno negativa di quanto si pensi- che ha per protagonista Carlo Felice di Savoia. Come ci dice lo storico Mario Marsero,“il detto risalirebbe ad una affermazione fatta da Carlo Felice (1765-1831) ai primordi del suo regno. La leggenda narra che un cioccolataio arricchito si era messo ad andare in giro per Torino su una carrozza trainata da quattro cavalli, mentre di solito i borghesi usavano solo il tiro a due; il monarca sabaudo, che era solito uscire in quadriglia, venuto a conoscenza del fatto, fece chiamare il buon uomo avvisandolo di cambiare le sue abitudini perché lui, il re di Sardegna, di Cipro e di Gerusalemme, non si poteva permettere di “fare na figura da cicôlaté”.


Conoscere il cioccolato

Clara e Gigi Padovani
Ponte alle Grazie
Euro 15



NOTA IMPORTANTE: NON date cioccolato agli animali, soprattutto ai CANI, perchè per loro è TOSSICO e potrebbe anche comportarne la morte immediata!

venerdì 11 luglio 2008

Crema fredda di patate e basilico


In questi giorni sono un po' ripetitiva, lo ammetto. Tra l'altro, di una ripetitività sui generis, direi. Passo dal lievitato alla zuppetta fredda: dal peggio per queste temperature, alle migliori soluzioni rinfrescanti...
Mah!
Ad ogni modo, questa è l'ennesima ricettina che ho scopiazzato dalla mia amica Alex, ovviamente non senza aver fatto le dovute modifiche (non sia mai!!!).
Una volta scoperte le zuppe fredde e superato l'iniziale scetticismo, adesso non mi ferma più nessuno!

Crema fredda di patate e basilico

4 patate
un mazzetto di basilico
latte q.b.
acqua q.b.
una manciata di pinoli
olio evo
sale e pepe

Pelare le patate, tagliarle a tocchetti e sciacquarle abbondantemente sotto acqua corrente, in modo da togliere buona parte dell'amido.
Versare un filo d'olio in una casseruola, far rosolare le patate, salare, pepare e aggiungere metà acqua e metà latte caldo, fino a ricoprirle.
Continuare la cottura finche non sono morbide.
Far intiepidire il tutto e frullare con le foglie di basilico.
Servire guarnendo con un filo d'olio e una manciata di pinoli.

In realtà volevo spennellare il bicchiere in cui ho servito la zuppa di pesto, ma ho scoperto di non averne più, così ho usato un patè di olive.

mercoledì 9 luglio 2008

Treccia integrale ai semi di papavero


Lo so che adesso inorridirete al sol pensiero di accendere il forno...però il mio lievito madre è stato trascurato abbastanza e aveva bisogno di cure e tanto tanto affetto!
Così ho recuperato questa bella ricetta di Stella di sale e l'ho un po' modificata.
Grazie Stella!


Treccia coi semi di papavero

170g lievito madre
400 gr. di farina manitoba + 150g farina integrale
3 cucchiai di olio d'oliva
1 cucchiaio di malto
2 cucchiaini di sale
acqua della mozzarella (ma va bene anche quella normale), circa 300g
2 cucchiai di semi di papavero

latte per pennellare la superficie
altri semini per decorare


Setacciare le farine, unire la pasta madre, il malto, l'olio d'oliva, l'acqua, per ultimo il sale. Impastare per un quarto d'ora molto energicamente, lasciare a lievitare fino al raddoppio (5 ore) in un luogo riparato e caldo (per esempio il forno spento) unire i semi di papavero, impastare di nuovo e dare la forma, formando delle trecce (ne ho fatte 3), fare lievitare ancora un'ora, mentre si scalda il forno a 190-200 gradi, poi pennellare la superficie con il latte e cospargere con altri semini.
Infornare per 20 minuti circa.

sabato 5 luglio 2008

Zuppa fredda di peperoni, mela e pomodori


Certo che l'estate è proprio un gran tripudio di colori. Stamattina mi sono svegliata accecata dall'azzurro del cielo. Che meraviglia...
E i fiori, i frutti, le verdure...ora, non vorrei cadere nel retorico o nel patetico, ma davvero è un piacere avere a che fare con materie prime così vive, accese.
E questa zuppetta fredda, che farebbe invidia alla Stabilo Boss, è un inno a tutto questo!


Zuppa fredda di peperoni, mela e pomodori

2 peperoni rossi
stesso peso di pomodori
mezza mela
acqua o brodo vegetale
olio
sale e pepe

Lavare e tagliare a pezzi i peperoni, i pomodori e la mela (preventivamente sbucciata). Metterli in una casseruola con un filo d'olio, farli rosolare e aggiungere acqua/brodo q.b. fino alla loro cottura (30 minuti circa), sale e pepe.
Frullare il tutto, passare al setaccio, far raffreddare e servire.

E' mia convinzione che la mela renda più digeribili i peperoni.

giovedì 3 luglio 2008

Panini semidolci da buffet


Non è facile parlare di lievitati in questi giorni. Con le temperature che ci sono i tempi si riducono non poco e, come sempre, è più che altro dal "naso" che ci dobbiamo far guidare (sarà per questo che amo così tanto i lievitati?).
Questa ricetta nasce infatti da una proficua conversazione con Paoletta sul forum di Cucina italiana, dal momento che avevo deciso di convertire la sua ricetta (perfetta) di questi panini in versione lievito madre.
I risultati si sono rivelati positivi, anche se perfettibili. Avevo infatti ecceduto sia con la dose di liquidi, sia coi tempi di lievitazione.
Nella ricetta qui sotto, trovate già tutti gli "errori" corretti.


Panini semidolci da buffet

200 gr di farina 00
200 gr di manitoba
125 gr LM
3 tuorli
50g burro + 10g olio
30 gr di zucchero
8 gr sale
1 cucchiaino di malto (in mancanza 1 cucchiaino di miele)
190-200 gr di latte

1 uovo per la spennellatura finale

Intiepidire il latte e scioglievi dentro il lievito madre, il malto e lo zucchero e nel frattempo setacciare insieme le due farine.
Mettere le farine nella ciotola col lievito madre, aggiungere i tuorli uno alla volta e infine il burro, l'olio e il sale. Impastare bene.
Far lievitare l'impasto per tutta la notte (8-9 ore).
Passato questo tempo, sgonfiare poco l'impasto, ma senza maneggiarlo troppo, fare pezzature da 35 gr. l'una, formare i panini e poggiarli su una teglia ricoperta di carta forno.
Pennellare con l'uovo battuto, lasciar lievitare per un'altra ora. Poi pennellare di nuovo prima di infornare a 180°/190° per circa 10-12 minuti.
In tutto ho fatto 24 panini.

martedì 1 luglio 2008

Crema di peperoni con mazzancolle


Questa ricetta è fa-vo-lo-sa. E' la versione "povera" di quella originale (con astice) imparata ad un corso con Ernst Knam.
Prima però, vorrei spendere due parole nei confronti di questo giovane pasticcere (che poi, chiamarlo "pasticcere" è riduttivo).
Inutile sottolinearne le capacità professionali: basta leggere il suo curriculum per accorgersi con quale straordinario carisma si ha a che fare.
Piuttosto, volevo ringraziarlo per la sua grande umiltà e gentilezza. E' raro, a così alti livelli, trovare ancora persone che si fermino a parlare per strada con te della "torta della mamma".
Ernst Knam non è solo un grande cuoco, ma anche un grande uomo (e non mi riferisco solo alle sue dimensioni teutoniche).
Ecco...dopo questa immensa e meritatissima marketta, torniamo a noi. Come dicevo, lo spunto per questa preparazione è proprio quella stessa crema fatta al corso ma, non avendo la ricetta sotto mano quando l'ho fatta, sono andata ad occhio (cosa che lui, avrebbe certamente approvato). Ho inoltre eliminato la panna in favore del latte.
Che vi posso dire? Fatela, fatela e ancora fatela! E' facile e veloce e l'accostamento vi stupirà per la sua delicatezza.


Crema di peperoni con mazzancolle

mazzancolle (o altri crostacei)
2 peperoni (rossi)
3 o 4 pomodori (stesso peso dei peperoni)
olio evo
acqua o brodo vegetale
latte (o panna)
1 spicchio di aglio
sale e pepe

Lavare e pulire i peperoni togliendo i semi e le parti bianche interne. Romperli a pezzetti. Pelare l'aglio. pulire e tagliare i pomodori (senza spellarli!).
Sbollentare le mazzancolle, toglierle dall'acqua e lasciar raffreddare.
In una casseruola mettere l'olio, l'aglio. i peperoni e la polpa di pomodoro. Salare leggermente, pepare, bagnare poco per volta con l'acqua/brodo e latte e far cuocere a fuoco medio per circa trenta minuti senza coperchio, aggiungendo, quando necessario, altro liquido (attenzione a non esagerare, altrimenti viene un composto troppo poco denso).
Lasciar raffreddare le verdure, passarle al frullatore, quindi al setaccio fine; mettere il passato in una ciotola e incorporare eventualmente altro latte (o la panna liquida), mescolando fino ad ottenere una crema leggera. Correggere di sale.

Questa ricetta è fantastica anche per il semplice fatto che non si sono tolti nè i semi, nè la buccia dei pomodori. Finalmente non si butta via la roba e non si perde tempo a pettinar le bambole!