lunedì 24 novembre 2008
Ristorante Innocenti Evasioni
Immagine presa da internet
Mentre io me ne sto qui a fare il criceto, qualcuno se ne va in giro a gozzovigliare senza pudore...
Come sempre, pretendere una recensione è il minimo che io possa fare, soprattutto quando si tratta di un ristorante neostellato, che così splendente non sembra essere...
Phil è stato da Innocenti Evasioni circa due settimane fa, prima quindi che la Michelin conferisse loro la stella e questa era stata la sua impressione...fate un po' i vostri conti (forse che urga una riflessione sulle guide?)!
Il ristorante Innocenti Evasioni ha una lunga storia tutta milanese: prima trattoria gestita in modo familiare e poi, dal 1998, l’inizio di un percorso verso l’alta cucina con i due giovani chef e patron Tommaso Arrigoni ed Eros Picco. Un percorso ormai decennale che negli anni ho avuto modo di testare in qualche occasione, l’ultima un paio di settimane fa. Ho così potuto confermare un’impressione già avuta e largamente condivisa dai miei «consulenti enogastronomici»: Innocenti Evasioni è un’opera incompiuta, un «voglio ma non posso», in cui il tentativo – in molti casi intelligente, in altri meno – di fare cucina creativa si scontra con il risultato finale, quasi mai convincente. Ma procediamo con ordine. Il ristorante si trova in una minuscola via privata in zona Certosa, non proprio una delle migliori zone di Milano, in un angolo buio e nemmeno troppo pulito. È quindi sorprendente varcare una soglia e trovarsi all’interno di un salottino-guardaroba che immette in una elegante sala da pranzo affacciata, grazie a un’imponente vetrata, su un giardino zen rilassante e curato. Davvero un’oasi di pace avulsa dal contesto cittadino, quasi un luogo segreto. Il servizio è garbato, puntuale e sorridente; la tavola è ben apparecchiata, con dei bicchieri rosso fuoco e una pianta grassa al centro della tavola. Nell’attesa degli altri convitati, impegnati nell’ardua impresa di trovare parcheggio, ho sgranocchiato delle sfoglie croccanti con riso soffiato poste sulla tavola: pessime. Meglio, così mi sono contenuto. Quando il tavolo si è riempito abbiamo chiesto un aperitivo, e ci è stato proposto un Franciacorta, molto gradevole. Abbiamo così potuto consultare la Carta sorseggiando le bollicine, che è sempre cosa buona e giusta. Le proposte sono interessanti: un Degustazione a 65€, la possibilità di combinare quattro portate a 48€, un piccolo Degustazione a 45€ e una quindicina di portate di carne, pesce e vegetali. I prezzi, lo diciamo subito, sono buoni, nel senso che, se il ristorante mantenesse le promesse di qualità, avremmo una cucina d’autore in un bel contesto a circa 70€ a testa, sempre più una rarità (purtroppo).
Ho optato per il menu “combinato”, che ho così disegnato:
Coscia di cervo marinata da noi, panella alle spezie e condimento all’aceto balsamico. La marinatura del cervo è interessante, ma il piatto non rende: la panella speziata è deludente e il condimento piuttosto scontato, con l’aggiunta di lamelle di mandorla. Nel complesso un piatto senza infamia e senza lode;
Riso Carnaroli “Acquerello” mantecato con cavolfiore, provola affumicata e polvere di capperi. L’ottima qualità del riso viene compromessa da una mantecatura troppo lenta, ed è un peccato, perché l’accostamento cavolfiore-provola-cappero non è niente male. Il formaggio si sente un po’ poco, in realtà, mentre il cappero è predominante, tuttavia a livello organolettico il risultato è più che soddisfacente. In questo caso è proprio la realizzazione a essere carente: un risottino di serie B;
Vitello arrostito al rafano, cavolo cappuccio scottato con bacon e rafano fondente. Nome complesso, ma piatto abbastanza semplice: un bel pezzo di vitello arrosto con una crema al rafano e un accompagnamento decorativo di cavolo cappuccio. Buoni i sapori, per quanto il rafano fondente somigliasse molto a una crema di rafano industriale che compro talvolta, ma non adeguata la qualità della carne, tanto nodosa da rendere difficile tagliarla con il coltello proposto;
Budino di pistacchio di Bronte, salsa al cioccolato e cialda croccante. Ancora una volta buone le premesse, per quanto non particolarmente originali, ma modesta la realizzazione: il budino è stopposo e il sapore dei pistacchi è completamente sopraffatto dalla salsa di cioccolato e granella di nocciole, esagerata per quantità e intensità. Buona invece le cialda, disposta a lingua come “copertura” del budino. Il risultato finale è un dolce che si lascia mangiare, proprio perché dolce, ma l’investimento in termini di trigliceridi non vale assolutamente il godimento gustativo.
In accompagnamento ai piatti ho bevuto il vino scelto dall’intero tavolo, un Morellino di Scansano Le Pupille 2004 (Poggio Valente), davvero eccellente, e un Torcolato 2005 (Maculan), un classico.
Durante la lunga serata (i tempi della cucina sono un po’ dilatati, del resto il ristorante era strapieno) ho avuto modo di testare anche (saccheggiando dai piatti altrui):
Carota in purea profumata allo zenzero e scorza d’arancia, fogli di finocchi. Un po’ banale, a essere sinceri, la purea di carota e zenzero, ma ben eseguita; divertenti le chips di finocchi disidratati;
Bigoli di farina saracena al sugo di faraona, funghi pleurotus e croccante al parmigiano. Probabilmente il miglior piatto della cena, ben realizzato, con sapori bilanciati al meglio e un’alta qualità della pasta. Il fungo pleurotus, notoriamente duttile, ben si sposava al sugo di faraona;
Gnocchi di peperoni e patate, pesto alle mandorle profumato all’origano e pecorino. Un altro buon primo, pur non eccellente, giocato sul profumo delle mandorle e dell’origano. Gli gnocchetti, piccoli e sodi, sono impastati con patate e (suppongo) una purea di peperone, risultando così colorati e piacevoli;
Trancio di spada scottato in padella, fagiolini e cipolla glassati, battuto d’olive. Una delusione, davvero un piatto anonimo, che se si chiamasse semplicemente “trancio di spada con verdure” sarebbe meglio, perché né il battuto d’olive né la cipolla glassata lo aiutano a emergere. Anzi, è stato pure lasciato lì a metà;
Semifreddo al croccantino pralinato, biscotto al cacao e frullato di mango. Un po’ meglio del budino al pistacchio, ma sulla stessa lunghezza d’onda: un dolce inutile.
Nel complesso, come chi è arrivato fin qui nella lettura ha già capito, Innocenti Evasioni non mi è piaciuto, nemmeno dopo diversi anni dall’ultima visita. Anzi, le impressioni (mie e di tutti gli altri convitati, stranamente in accordo) sono state le stesse: una cucina che procede, come giustamente nota anche la guida del Gambero Rosso, per giustapposizioni fini a se stesse, senza riuscire a incidere anche laddove le idee sono buone. Una cucina che vorrebbe essere grande, ma che non ci riesce, risultando persino irritante in alcune sue folate creative. Inoltre, una nota di stile, marginale ma significativa: una delle otto persone al tavolo con me ha chiesto di poter inserire un piatto del piccolo menu degustazione – del foie gras – come antipasto del menù “componibile”. La risposta di chi prendeva le ordinazioni – uno dei due titolari – è stata: «Certo, tutto si può fare. Ovviamente si paga la differenza, perché non possiamo fare capriole”. No, certo, e nessuno ve lo chiede. Ma un po’ di stile in più non risulterebbe certo sgradito, e forse addolcirebbe una pillola non proprio piacevolissima.
Phil
Innocenti Evasioni
Via Privata della Bindellina
20155 Milano
Tel. 02.33.00.18.82
http://www.innocentievasioni.com
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8 commenti:
Mi sbaglierò, ma io ho sempre avuto la sensazione che stà storia delle stelle sia una specie di mafia
Tagliente..ma utile, utilisimo
Elga
da qualche tempo cercavo un ristorante carino e nuovo, dove festeggiare il mio compleanno. una delle opzioni era proprio questa, le innocenti evasioni. ma poi, avverto un certo sesto senso a volte, mi convinceva poco. mi dava l'idea sì di un posto carinissimo esteriormente, ma con un pregio nei piatti non soddisfacente. se devo uscire voglio gustarmi la serata nel termine giusto: gustarmela! :-) pure il liberty di andrea provenzani mi aveva lasciata poco convinta, e temevo che questo avesse la stessa influenza su di me. alla fine ho optato per il joia, in una folgorazione dovuta al libro di leeman sbirciato in libreria. potrei aver da ridire un pochino anche su quest'ultimo, ma sono stata nel complesso davvero soddisfatta! una cena, un gioco, un ricordo, una sensazione. beh... con phil ho avuto modo di trovarmi d'accordo sul blog di maricler e fabrizio, e forse... mi troverei d'accordo anche qui, su questa recensione? però, ci dovrò andare alle innocenti evasioni per essere certa del mio presentimento... adesso pure con la stella. :-)
Adina, ciao...mi piacerebbe conoscere il tuo parere su Leemann.
Anch'io ho qualche piccola remora, ma nel complesso ho un'impressione molto positiva.
ti dirò, non mi aveva mai fatto voglia quel posto. poi il libro, dei piatti bellissimi, e la decisione: andiamoci. non mi è piaciuta la sala, in primis, l'ambiente è povero, freddo, quasi lasciato al caso. non mi è piaciuto (anche se capisco che possa capitare, eh) che non avessere preso la nostra prenotazione, così da farci attendere all'ingresso circa 15 minuti (però ci hanno offerto due calici di franciacorta e due di torcolato sul finale di serata, per farsi perdonare). il resto mi ha fatto simpatia, molta. mi è piaciuto mangiare quasi come giocare, toccando elementi non sempre edibili con una mano (il sasso, il bicchiere ghiacciato) e gustando con l'altra il cibo (contatto e consenso); mi è piaciuta la cremina di parmigiano con sopra la spuma e sotto dei funghi croccantissimi; mi è piaciuta l'acidità della zuppetta schiumosa (per quanto le schiume.. basta) che nascondeva la salvia croccantemente fritta; mi è piaciuto meno il dessert preso da cri, il ricordo, un po' solite cose (soufflé al gianduiotto, plasmon ecc..), ma in compenso la presentazione su quel piatto in plastica con titti l'ho trovata geniale (il ricordo, appunto!). ho trovato molto buona invece la mia tatin di mele, senza pasta, solo mele. di gran sapore e leggerezza. se il servizio inizialmente mi ha convinta poco, col passare della serata poi s'è tramutato in allegria, in scherzo: "indovinate che ingredienti ci sono qua dentro", fino alla sorpresa di dire: "ma lo sapevi già?", "no, ma il cocco, il caco, l'arancia, li ho ben distinti" :-) e poi sul finale le due chiacchiere con Leeman, che mi ha lasciato un'ottima impressione, di gentilezza, di professionalità, di serietà, ma con dietro, un che di bambino filosofo, non so come dire... nel complesso? ci tornerei. e credo questo sia l'importante per chi ha un ristorante, che il cliente senta il desiderio di tornare. (al liberty, per es, non mi viene la voglia, ma magari un giorno a pranzo, solo per cercare il contrario della prima impressione.. che forse non è mai quella che conta) :-) e voi? siete stati al joia, mi par di capire..
leemann con due n finali! :-))
Adina, noi ci siamo stati sempre e solo a pranzo, approfittando del menù a 35 euro (a cena, il triplo non lo spenderei).
Anche a me non piace il locale. Ma queta è una questione di gusti. L'ultima volta, tra l'altro (un mese fa) c'era anche un cattivo odore all'interno (di chiuso? di fumo? Mah...).
Il servizio è amichevole, fin troppo a volte e non sempre preparato, ahimè!
Ma anche su questo si sorvola...
I piatti, soprattutto l'ultima volta, mi erano piaciuti particolarmente: Appunti di viaggio (che mi sembra abbia mangiato anche tu) l'ho trovato emozionante (fonduta di parmigiano & cucchiaini vari verso il balsamico). Buono, proprio buono.
Poi mi sono sparata anch'io un po' di schiumette nella Passeggiata nel bosco (mi sembra). Piacevole, ma niente di superlativo. E poi quella magnifica tatin di mele di cui parli che, nella sua semplicità non ha eguali. Spettacolare. Nulla a che vedere con la crema catalana alla quale è accompagnata.
Ricordo l'avevo preso l'anno scorso. E mi era piaciuto (soprattutto lo zabaione). I dolci erano "basilari", ma eseguiti alla perfezione.
Nel complesso, dove mangio bene poi ritorno (vedi Pont de Ferr-dove il servizio è inaffrontabile, ma lo chef è un vero talento).
Leemann è una persona molto cordiale...sì, un po' "filosofo" ma, se non fosse così, non sarebbe lui. Il rischio vero? L'eccellenza a livello ideativo spesso non corrisponde ad altrettanta eccellenza a livello gustativo. Ma quando il giochino funziona, è davvero una meraviglia.
Cara Adina,
indubbiamente l'IE è un ristorante molto carino, d'atmosfera, anche romantico. Il problema, però, è che non è "nuovo": ormai ha un'esperienza decennale alle spalle e questa non ha portato - a mio avviso, ovviamente: la Michelin la pensa in modo diverso - alcun salto di qualità. E ci sono certe cose che, da amante della buona cucina, non posso tollerare: il risotto liquido, ad esempio, o una carne così nodosa da essere difficile da masticare. Il tutto a circa 70 euro, una cifra che non si spende volentieri per mangiare male (perché abbiamo mangiato male, non così così, non in modo non conforme ai nostri gusti, ma MALE).
Su Leemann. Tutt'altro livello, tutt'altro stile. Ciò non toglie che alcuni appunti li meriti pure lui, che invece negli anni è cresciuto e si è evoluto. Per prima cosa, la sala è migliorabile, sono d'accordo; soprattutto, in due occasioni a pranzo (eccezionale la proposta a 35€) il riscaldamento era spento e abbiamo dovuto pranzare con su il cappotto. Inacettabile. Però la cucina è di alto profilo, per quanto le scelte di Leemann siano particolari e anche estreme. Non tutto è davvero "buono", ma tutto è bello, interessante, divertente, stimolante, non banale. E questo rende giustificabile la spesa.
I dolci, poi, sono spesso ottimi: la tatin di mele - concordo anche su questo - è spaziale, e "Ricordo" è un dolce emozionante; strepitosa la rielaborazione del "Monte bianco".
Ciao e grazie,
Phil
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