
Come avrete capito, qualche giorno fa il nostro critico di fiducia si è laureato.
Così ho pensato: "Quale regalo migliore di questo bel libro? Sì, sì, ottima idea, così poi mi faccio fare la recensione". E così è stato, anche perchè, i temi esposti in questo volume, hanno occupato e continuano ad occupare buona parte delle nostre conversazioni e mi sembrava opportuno, con l'espediente della recensione, coinvolgere anche voi per sapere cosa ne pensiate.
Ora cedo la parola a Phil:
In Italia si mangia bene, e questa è un’ovvietà. Ma cosa si mangia,
oggi, in Italia? La domanda è tutt’altro che scontata. L’«oggi» in corsivo, poi, è dirimente: dove sta andando (o, forse, dove è andata) la cucina italiana negli ultimi anni? Non ve lo siete mai chiesti? Male! Molto male! Perché interrogarsi sul percorso che la cucina italiana ha fatto da Gualtiero Marchesi a oggi significa domandarsi del presente e del futuro dell’arte culinaria italiana, che, purtroppo, non gode della giusta fama (nemmeno tra i
food bloggers, ma questo è un altro discorso). In Francia, circa mezzo milione di persone ogni anno decidono di investire in una cena d’autore: spendere una cifra tra i cento e i centocinquanta euro per mangiare bene, in un ristorante di tono, magari scambiandosi le opinioni con una piccola brigata di amici, è considerato un’esperienza che merita di essere vissuta. In Italia, invece, il numero di persone disposte a investire – denaro, tempo, aspettative – in una cena d’autore sono molte meno, non più di diecimila. È solo una questione economica? Io non credo. Altrimenti dovrebbero essere vuoti anche i negozi degli stilisti, dove una borsa fatta in serie viene venduta a cinquecento volte il suo costo di produzione, oppure non dovrebbero essere sempre pieni quei ristorantacci di moda in cui si spendono cento euro come niente, solo per vedere da vicino una velina. Eppure, tanto i negozi quanto i ristorantacci, sono meta ambìta e frequentata da molti italiani, che ci lasciano interi stipendi per sentirsi
à la page. Il problema è dunque culturale. In Francia Paul Bocuse o Alain Ducasse sono delle celebrità, il cui contributo alla fama della Nazione è ampiamente riconosciuto, mentre in Italia l’ultimo cuoco ad avere avuto notorietà oltre le pareti della propria cucina e dei salotti degli addetti ai lavori è stato Vissani, non per come sta ai fornelli, ma per le sue (pessime, a mio avviso) comparsate televisive.
Dove sta andando, dunque, la cucina italiana? Un’ottima risposta, contenutisticamente ed esteticamente parlando, è il libro di Alessandra Meldolesi e Bob Noto,
Sei. Autoritratto della cucina italiana d’avanguardia*, edito da Cucina e Vini (io l’ho ricevuto in regalo da Virginia, che ringrazio nuovamente). I (magnifici?) sei in questione sono alcuni dei più «avanguardisti» tra gli chef italiani: Bottura, Cedroni, Cracco, Crippa, Lopriore e Scabin. Come nota Paolo Marchi nella sua postfazione, ne mancano altri, diversi altri, da Leeman e Beck, da Alajmo a Sultano. La prefazione del volume è affidata comprensibilmente a Gualtiero Marchesi, non solo in quanto grande innovatore della cucina italiana, ma anche perché maestro, direttamente o indirettamente, dei sei cuochi. Marchesi ricorda che la cucina è sempre in mutamento e la tecnologia non è una novità: quando si iniziò a cucinare dentro «recipienti capaci di sopportare indenni il fuoco», abbandonando la brace, si mise in atto una
nuova cucina. Oggi, dopo la Nouvelle Cousine e lo sdoganamento della chimica e della fisica dietro i fornelli, le cucine dei grandi chef d’avanguardia si sono trasformate, per citare ancora Marchesi, in «veri e propri laboratori scientifici». Sono quindi più che opportuni i disegni, spesso ironici, di atomi e molecole che corredano il volume.
Dove va, allora, la nuova cucina italiana? Sicuramente in due direzioni: avanti, verso il non ancora esplorato; indietro, verso la tradizione, che è sempre il punto di partenza, anche delle più ardite invenzioni gastronomiche. Per seguire questo andirivieni della creatività di Bottura&C. gli autori hanno scelto di declinare il percorso in dieci tappe, tutte decisamente azzeccate e godibili. Ne scelgo qui tre, sorvolando un po’ sul «filosofese» con cui viene affrontato il tema, davvero eccessivo per un libro di cucina (e lo dice uno che al filosofese deve molto):
ironia, è giustamente la prima tappa, perché la giocosità, la leggerezza, persino lo scherzo fanno parte della nuova cucina. Si legge (e si condivide) a pagina 015: «la cucina che ride è una cucina che si fa beffe del suo stesso repertorio, delle strutture accademiche e degli automatismi caserecci, con i loro confini invalicabili di carne e pesce, dolce e salato, raffinatezze estenuate e peccati di gola […]». Cosa questo voglia dire lo si capisce bene con la prima foto (splendida, come tutte le altre, davvero di livello altissimo), che raffigura un
Magnum di foie gras di Massimo Bottura. Sì,
quel Magnum, il celebre gelato. In questa rivisitazione, al posto della panna c’è del foie gras, al posto del cuore morbido di cioccolato, dell’aceto balsamico di mele del 1910, ed entrambi presentano la consueta granella di nocciole e mandorle, con tanto di stecco di legno per impugnarlo. Fantastico! E chi ha avuto la fortuna di gustarlo, dice anche buono. Oppure le
Lenti a contatto al caffè con barbajada di Carlo Cracco, servite nei caratteristici contenitori da oculistica. Ha però ragione Moreno Cedroni: ridere va bene, ma non può esaurire il menù. Il piatto ironico, il
calembour, sono e devono essere piacevoli intermezzi;
sua Pastità: mai titolo fu più azzeccato e provocatorio. L’Italia nel mondo è la pasta, immediatamente accostata a pizza, mandolino e mafia. Ed è così spesso anche per noi italiani: se ci chiedono di pensare a un piatto tipicamente italico, rispondiamo tutti o la pasta o la pizza. Ovviamente al pomodoro. L’italiano medio, ce lo insegna Sordi con un’immortale immagine, è colui che si siede davanti a una “cofana” di pastasciutta, impugnando minacciosamente la forchetta, pronto a tuffarcisi dentro. Ma è davvero così? Purtroppo sì. Purtroppo ancora troppe persone non concepiscono un modo meno greve di mangiare, anche la pasta. Ecco perché la Nouvelle Cousine italiana, provocatoriamente, aveva lanciato un anatema contro la pasta. A estremi mali… Oggi le cose non stanno più così, e
Sei lo spiega in questo bel capitolo, da cui si evince che gli avanguardisti italici alla pasta non ci vogliono affatto rinunciare. Si potrebbero citare degli splendidi
Spaghetti psichedelici di Moreno Cedroni, fatti mantecare in padella come il risotto, e conditi con diverse tipologie di crostacei, alcuni cotti fino alla modificazione della loro testura, altri aggiunti in seguito. Oppure degli stupefacenti, e anche un po’ miracolosi, spaghetti di uovo di Carlo Cracco. Non
all’uovo, ma
di uovo, nel senso che non c’è farina, ma uovo marinato lasciato essiccare (Cracco parla di coagulazione naturale) e ridotto a spaghetto, ovviamente di colore rosso e non giallo. Curiosità: gli spaghetti sono ottenuti passando la pasta di uovo in un distruggi documenti. Il risultato è un gioco di colori e, immaginiamo, di sapori davvero suggestivo e inusuale;
food design: il cibo richiede presentazione, che può essere ancora una volta ironica, oppure molto seria e rigorosa. Ma quello che è certo è che la presentazione, o
design, non è un dato accidentale, ma sostanziale del piatto: esso
è quello che rappresenta, non potrebbe essere in altra forma. Prendiamo il
Riso alla marinara di Paolo Lopriore. Si presenta come un cerchio di riso con sfumature di diverso colore e totalmente privo di un solo pesce visibile: niente scampi, niente molluschi, niente di niente. Solo macchie di colore, spruzzi. Sono tutte essenze di mare: nero di seppia, bisque, purea di ostriche. Protagonista torna il riso, non il pesce. Potrebbe essere in altra forma? No, per carità: un solo scampo lo ucciderebbe.
Perfezione tecnica, ironia, azzardo, citazione e rivisitazione. Questa è la cucina d’avanguardia italiana, almeno per il lettore dei
Sei. Se sia anche cuore, passione e calore, le pagine non lo dicono e non lo possono dire. Bisogna andarlo a scoprire. Non sarà economico, ma è sicuramente gratificante.
Phil
Sei. Autoritratto della cucina italiana d’avanguardiaCucina e Vini*Cliccando sull'immagine di copertina, potrete vedere la bella presentazione video del volume.